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Wednesday, February 29, 2012

Chiudendo gli Occhi di Fronte al Sangue: Perchè gli attivisti per i diritti umani ce l'hanno tanto con i siriani?

Riporto di seguito la traduzione italiana del post di Mary Rizzo su "We write what we like" wewritewhatwelike.com . Credo sia un'ottima sintesi dei sentimenti che colpiscono coloro che per anni hanno avuto a cuore ciò che accadeva in Medio Oriente, e specialmente in Palestina, e che ora vedono molte persone con cui (anche soltanto virtualmente) hanno condiviso ideali e lotte, dall'altra parte della barricata nella questione siriana. Ciò che si legge in questo periodo da pseudo giornalisti come Fulvio Grimaldi o InfoPAL è raccapricciante, ideologico, e pone diversi dubbi su quali siano mai stati i veri sentimenti di queste persone. Forse è solo l'ideologia che li guida, una visione del mondo vetusta, schematica che non ha niente a che fare con la sorte della gente che questo mondo lo popola. Non voler capire o non voler semplicemente vedere che il regime siriano era oppressivo, violento e fascista esattamente come quello Tunisino o Egiziano solo perchè si opponeva agli americani e agli israeliani invece di appoggiarli è incredibile. La Guerra Fredda è finita, ammesso che anche durante la Guerra Fredda fosse lecito classificare le tragedie della terra con la cartina tornasole del "pro" o "contro" Mosca o Washington. 


di Mary Rizzo 



“Sarebbe stato meglio nascere animali piuttosto che siriani. Avresti ricevuto maggiore protezione.”


Stavo riflettendo tra me e me, ed a volte a voce alta, “Che cavolo è successo all’empatia e all’umanità del movimento degli attivisti? Quando hanno deciso quale sangue non valeva molto? Dov’sono andate la loro compassione, empatia e senso della giustizia?”

Ci sono alcune qualità che un’attivista dovrebbe possedere come parte obligatoria del proprio bagaglio. Non tutti devono avere una soluzione ai problemi che affligono le vittime o i deboli nelle cause che sostengono. Nemmeno devono dedicare molto tempo o soldi alla causa. Si potrebbe fare l’attivista oggigiorno localmente o anche se si è disabili o si   hanno difficoltà a lasciare le proprie case. Ci si può esprimere, condividere informazioni, e fare azioni di solidarietà attraverso internet. Le qualità, però, che dovrebbero essere a disposizione di ogni attivista includono l’empatia, un po’ di coraggio ed un forte desiderio che “il bene” abbia il sopravento e sconfigga “il male”. Che questo bagaglio così cruciale e obligatorio sia diventato così selettivo deve essere il colpo più fatale all’universo dell’attivisimo. Lo fa puzzare di ipocrisia e serve principalmente la causa degli oppressori.     

L’empatia è una risposta sociale ed emotiva alle condizioni in cui vivono altri essere senzienti. Siccome tutti noi possiamo concordare che dolore e sofferenza (compresso quello d’essere vittima di abusi, fame e privazioni) sono cose negative, non dovrebbe essere difficile sentirsi male, “come se” quello che succede potesse succedere a noi o alle persone che amiamo. Se siamo capaci di sconnettere l’empatia perché abbiamo un’ideologia cui fare fede, accompagnata da una sorta di strana pressione sociale, qualcosa è andato storto. Se siamo selettivi per un concetto quale il dolore umano e la per nostra capacità di accettarlo (per gli altri), abbiamo bisogno di una lunga pausa di riflessione per pensare ex novo che cosa stiamo facendo nel mondo dell’attivismo. Dobbiamo ricordare che l’empatia potrebbe essere uno strumento per il cambiamento, dobbiamo metterlo al nostro servizio e capire che la gente che soffre (e in alcuni casi gli animali) percepisce il nostro coinvolgimento oppure la nostra indifferenza, e possono servire delle capacità tipiche degli (soprattutto) attivisti per far sì che i sentimenti di empatia si manifestino e vadano verso la fine della sofferenza, che rimane l’oggetto primario ed immediato.

Per poter capire, testimoniare ed identificarsi con la sofferenza estrema che è la realtà di alcuni, un attivista deve possedere la capacità di aiutare in una maniera concreta il cambiamento della condizione di dolore e di sofferenza attraverso il riconoscimento della condizione, seguito da azioni atte a    intervenire a favore delle vittime. Dall’altra parte, la loro indifferenza potrebbe dare sostegno al violento, all’ oppressore, che crede che la sua violenza sia giustificata.

Non c’è stata mancanza di prove per moltissimi mesi che in Siria la situazione attuale è una crisi umanitaria di gravità estrema. A citare alcune statistiche, molte delle quali provenienti dagli organi internazionali considerati come altamente autorevoli come l’ONU, Human Rights Watch, Amnesty International e altri ancora, in undici mesi dalle prime manifestazioni contro il regime, ci sono stati 6.000 civili uccisi, da cecchini, da     bombardamenti con mortai, bombe e pestaggi, anche se altre fonti dichiarano che il numero vero è molto più alto, visto che la scoperta di fosse comuni e la “sparizione” di manifestanti è un evento frequente. 70.000 persone sono state arrestate, la stragrande maggioranza senza accuse specifiche oppure accusate di crimini che nessun tribunale normale potrebbe sostenere, compresi crimini di pensiero e di intento. Ci sono stati casi documentati in modo costante di abusi e tortura, con i corpi segnati dalla brutalità che è difficile immaginare. Le scene sono così orribili e devastanti, che in anni ed anni di attivismo per i diritti umani e soprattutto per quelli palestinesi, non ho mai visto questo livello di depravazione, questo livello di crudezza.

La settimana scorsa, la città di Idleb ha subito un attacco molto sanguinoso: un gruppo di persone sono state vittime dello scoppio di una bomba di chiodi, che ha conficcato piccolissimi pezzi di metallo nella loro carne, daneggiando gli organi interni e causando emorragia interna fino ad arrivare ad una morte dolorosa. Sono stati trasportati all’ospedale civile per il loro funerale, ma lì, altri 60 corpi erano scoperti nelle celle frigorifere, tutti con segni di tortura estrema. L’ospedale è occupato dalla militia del regime che ha sparato alla gente e proibito a qualsiasi ferito le cure. Gli ospedali ora servono soltanto al il regime per rimanere al     potere a tutti i costi. L’immagine che è venuta alla mente di un’amica attivista che ha visto le foto erano le immagini  di persone faccia in giù nel proprio sangue a Sabra e Shatilla. Ma, questi sono sirianni, e per un motivo che non riesco a capire, la maggioranza degli attivisti per la Palestina preferiscono ignorare il tutto. Stano portando gli paraocchi oppure sono incapaci di provare empatia con i siriani? 

Che ci sono più di 20.000 rifugiati che hanno cercato la salvezza in Turchia nelle tende è un altro numero che dovrebbe essere un dato insopportabile per un attivista. Sappiamo bene quello che è il destino dei rifugiati, il fatto che spesso non possono mai tornare e soprattutto, le condizioni atroci in cui sono costretti a vivere. Un attivista dovrebbe essere preoccupato per tutto questo. Quanti Siriani sono fuggiti in Libano o anche più lontano? Nessuno conosce i numeri perché spesso questa gente continua ad essere minacciata e ricercata anche in esilio.

Come mai gli attivisti non riescono a capire la severità della situazione? Perché denunciano i manifestanti negli stessi termini che sono usati dal regime, nonostante montagne di prove che dimonstrano che non è un governo umano? Come mai hanno fatto uso di Twitter, Facebook ed i blog per settimane contro lo spray al pepperoncino negli occhi dei manifestanti americani, ma gli assalti mortali contro civili (compreso più di 300 bambini che sono morti per mano del regime, molti di loro soggetti alla detenzione e alla morte per torture) sono ignorati? Sono i Siriani figli di un dio minore?  Sono meno degni di protezione e di interesse? E’ mai possibile che studenti universitari americani che dopo la manifestazione possono tornare nei loro dormitori e sanno che le loro vite non sono in pericolo ottengono più comprensione e empatia dagli attivisti che bambini arabi innocenti che hanno perso le loro vite sotto la crudeltà di una milizia repressiva?
Alcuni diranno, “Perché dici che è peggio se qualcuno uccide la propria gente?” come una scusa per poi parlare di un altro luogo geografico, un’altra situazione. Altri diranno che il regime di Assad è l’ultimo baluardo contro l’imperialismo, che è l’unico argomento che riescono a trovare. Sono sicuri che dietro tutte le proteste c’è un complotto imperialista, qualcosa che non dicevano     per le stesse proteste in Tunisia, Egitto ed a volte, verso l’Intifada palestinese. Molte di queste persone che dichariano che non può     essere una rivolta sincera e popolare oppure una rivoluzione vivono in società ricche in Europa e Nord America, dove hanno il diritto di dire qualsiasi cosa vogliono senza avere paura di essere arrestati. Però, non hanno mai fatto parte di una rivoluzione o di una rivolta contro il governo al     potere. Altri dicono che non ci deve essere l’intervento esterno, ma fanno il tifo per la Russia, il Libano e l’Iran perchè continuino ad armare il regime perché lo sostengano per il più lungo tempo possibile. Altri diranno che l’Esercito della Siria Libera è una milizia imperialista (???!!!) e che sta fomentando la guerra, non essendo una vera milizia di resistenza. Ancora altri dicono che entrambi i lati hanno la colpa, mettendoli sullo stesso piano, una cosa che non si azzardarebbero a fare se fosse la Palestina. Come è possible mettere a pari merito civili con un potere armato che controlla il governo, l’economia, che potrebbe togliere l’acqua, la corrente e il gas per proprio sfizio, arrestare persone in modo arbitrario a migliaia, chiudere ospedali, invadere città con carri armati, bombardare le persone mentre stanno nelle loro case e mettere cecchini sui tetti,  dovesse mai qualcuno provare a scappare? 
Un mio amico siriano mi ha detto qualche mese fa, “Se solo fossimo degli animali, credo che ci sarebbero più persone a provare la compassione per noi.” Dopo alcune settimane, ha preso atto anche dell’abbandono totale degli Attivisti per la Palestina, che ripetono le posizioni retoriche di Assad senza nemmeno un motivo pratico per farlo se non la loro mancanza di umanità oppure la loro mancanza di occhi per vedere. Mi ha detto, “Dovremmo dire a tutti semplicemente che siamo palestinesi, forse solo allora si sentiranno male per come stiamo morendo.” Io lo porterei ancora avanti il pensiero: alcuni anni fa Vittorio Arrigoni ha scritto un pezzo molto toccante. Io chiedo agli attivisti per la Palestina in modo particolare di leggerlo e rifletterci sopra.
“Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola” mi dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. “Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato.” Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua “Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste…” il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi la schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati.”A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.”

In questo momento, queste vittime sono siriani. In questo momento, la media di 40 vittime al giorno (ma cresce negli ultimi giorni), a volte 100 vittime ogni giorno, è ciò che accade in Siria. 







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