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Thursday, November 22, 2012

The last 24 hours in the Middle East, for Dummies

well.. trying to find a smart way to use my blog i thought that i can, for example, give a brief description of the last 24 hours using a very simple language.

The ceasefire: 
First of all it is good to stress one thing: the war was called    
It was called by Hamas that wanted to exploit a very favourable moment to gain as much as they could. So they started to fire rockets against Israel.
In Israel it is time of electoral campaign. And the prime minister is a guy called Netanyahu, who has two ministers called Lieberman and Barak. This nice trio is very famous for being very inaeguate to amministrate even a boyscouts camp, but, also, for being very good in talking about war. Barak is actually also very good in doing war.
They were called to do a war, a very useful tool to distract their people from a campaign that was risking to be dominated by their foolish management of the national economy.
So they attacked and gave to their public opinion something very different to talk about.
The war lasted few days with no ground attack. Nevertheless it cause more than 100 victims in the Gaza strip. Now a cease fire is on and no rocket is landing into Israel anymore. They got their result and they are probably going to win the elections.
In the meantime Hamas obtained to appear, once again, the only notable representant of the Palestinins in fron of the world. They are very close to a full recognition, while the old man in Ramallah, Abu Mazen, once again was not more than a spectator of what was happening, loosing credibility on daily basis.

The cease fire was brokered by Egypt and the US. The US gained the perception in front of the world of a renewed effectiveness, something that during the Arab Spring,  and especially the Syrian crisis, they completely lost.
In the meanwhile Egypt is surging as the new regional determinant factor. They took Hamas from Damascus and Teheran - with also the contribution of the rich guy in Doha and the Turks - and suddenly regained power on the international scene, President Mursi can show up in front of his people claiming a renewed "Karama" - dignity - of his country.

The Egyptian costitutional declaration 
Now we come to what happened in egypt just some hours later..
Strong of his triumph, Mursi took the chance to make something very disturbing. On the annuversary of the clashes that in Cairo costed some tens of victims one year ago, he released a costitutional declaration stating some nice things: the start of new investigations on the murders of protesters during the last years.

Unfortunately he also kicked out of his charge the head of the Egyptian judiciary and took his power. One article of the declaration also states:

 Article VI:

The President may take the necessary actions and measures to protect the country and the goals of the revolution.

What does it mean? not hard to figure out.. he can do whatever he wants :) The new King of EGYPT - or maybe Pharaon is more appropriated.. 

Hard times for the Egyptian revolution youth. 
I have some friends that are part of it... I cannot do anything else than wishing them all the luck of this world.. 

Thursday, June 14, 2012

Un colpo di stato

Quello che è accaduto in Egitto è un colpo di stato. Non ci sono mezze misure. Potevano sciogliere il parlamento appena eletto in molti modi, con le armi o con i carri armati, ma di fatto questo resta un colpo di stato. Quello che colpisce è molteplice. C'è il mezzo silenzio degli esportatori ufficiali di democrazia che ora esplicitano timide proteste per un colpo di stato diretto verso della gente che quelle elezioni se le era conquistate con del sangue assolutamente non metaforico, e i paesi arabi del golfo che ancora una volta registrano una vittoria dell'immobilismo perenne. Ma soprattutto ci sono i militari, e il potere giudiziario egiziano, tutti pilastri di un regime che si considerava morto o agonizzante, e che invece son ben saldi nel loro potere e soprattutto nel loro disprezzo per la propria gente. Non si può chiamare in altro modo l'impegno che hanno profuso in un anno e mezzo per portare quella che sembrava la più bella (e perchè no? Anche scenografica) rivolta simbolo della Primavera democratica del mondo arabo a trasformarsi in una farsa da avanspettacolo, con elezioni indette e tradite, parlamenti formati e poi annullati, candidati espulsi e riammessi, il tutto a piacimento della convenienza tattica. E' questo disprezzo per la propria gente e la propria storia che colpisce più a fondo.       

Sunday, May 13, 2012

Capire l'Islam politico: Intervista con Massimo Campanini

Copertina anteriorePubblico di seguito la mia intervista con Massimo Campanini, probabilmente il migliore esperto di Islam politico in Italia. Poterlo intervistare è stato per me molto utile per mettere a fuoco alcune dinamiche che ad una analisi un po' superficiale possono sfuggire.. l'unico appunto che posso fare è che forse la sua analisi, seppur profonda e sfaccettata, manca di uno sguardo un po' più concreto verso gli aspetti economici che creano il framework dove le forze politologiche di cui parla si muovono.

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Capire il fenomeno dell’Islam politico, fino a poco tempo fa considerato poco più che un semplice esercizio teorico per accademici, è diventato di capitale importanza per comprendere i prossimi sviluppi politici del Medio Oriente. Le elezioni avvenute dopo la cacciata di Ben Ali e Mubarak hanno infatti visto la schiacciante vittoria dei partiti islamisti, e in particolare di quelli legati alla Fratellanza musulmana. Aspettando di assistere alle elezioni in  Libia nelle quali un risultato simile si preannuncia probabile, Equilibri ha intervistato Massimo Campanini, tra i più prestigiosi studiosi di cultura islamica in Italia, docente di storia dei paesi islamici all’Università di Trento e autore di numerosi libri sulla storia e le radici teoriche dell’Islam politico. Al professor Campanini, che ha appena pubblicato il suo ultimo libro su questo tema, “L’Alternativa Islamica” (ed. Bruno Mondadori), abbiamo chiesto in particolare di spiegare gli ultimi avvenimenti e le dinamiche socio-politiche che hanno caratterizzato fin qui lo sviluppo dei partiti islamisti in tutto il Medio Oriente e Nord Africa, e in particolare di quelli legati più o meno direttamente ai Fratelli Musulmani.
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Equilibri: Innanzi tutto una domanda sulla stretta attualità egiziana. A meno di un mese dalle elezioni presidenziali non mancano i colpi di scena nella campagna elettorale. I recenti sviluppi, che sembrano favorire Amr Moussa, sembrano soprattutto il frutto di un conflitto sempre più radicale tra islamisti e militari, i quali, dopo un apparente periodo di non belligeranza, dall’inizio del 2012 hanno intrapreso un durissimo scontro politico. Ci potrebbe spiegare le ragioni e le dinamiche interne di questo conflitto? 

Campanini: Gli interessi di islamisti e militari divergono là dove entrambi, da posizioni opposte, aspirano a egemonizzare l’evoluzione del processo politico. I militari vogliono salvaguardare, da un lato, i propri privilegi (soprattutto sul piano economico e sociale) e il proprio ruolo di forza dominante all’interno del quadro politico, mentre forse, dall’altro, preferirebbero che la forma dello stato conseguente alla riscrizione della costituzione e al determinarsi di potenziali cambiamenti democratici si discosti il meno possibile dal modello mubarakiano. Fin dall’inzio ho avuto l’impressione che l’intervento dei militari fosse finalizzato a garantire una transizione morbida e non particolarmente traumatica per i vecchi equilibri di potere, pur in qualche modo consentendo trasformazioni istituzionali di un certo rilievo, anche, se non forse soprattutto, simbolico. Entrambi questi obiettivi rendono necessario un controllo più o meno stretto sulla situazione politica e il postponimento del rientro nelle caserme, richiesto da più parti, dagli islamisti così come dalle forze di sinistra, per dare maggiore credibilità alla nuova democrazia. D’altro canto, gli islamisti – ma io li indicherei più precisamente per nome, i Fratelli Musulmani – intendono capitalizzare al meglio la vittoria elettorale e la acquisita presenza nei gangli vitali del potere non tanto per proporre un rapido cammino verso lo stato islamico, che sarebbe prematuro, ma per poter dimostrare di essere in grado di governare e di imprimere all’Egitto ad un tempo una svolta etica e politica. I Fratelli Musulmani hanno l’occasione di proporsi quale forza egemonica in grado di coagulare in un blocco storico divergenti interessi sociali e politici, ma anche culturali. Non è detto  che questa ambizione sia teoricamente cosciente nei dirigenti dell’organizzazione, ma costituisce un’incentivo a chiedere all’esercito un passo indietro e a ravvivare un confronto che certifichi la capacità dei Fratelli Musulmani di rappresentare prioritariamente le molteplici anime della società egiziana.
EQ: Partiti e movimenti ispirati alla Fratellanza Musulmana sembrano acquistare consensi dal Marocco fino al Golfo (come nel caso del Kuwait). Potrebbe spiegarci a grandi linee quanto questi movimenti hanno in comune e quali invece sono le differenze che li caratterizzano, anche in chiave di alleanze internazionali?
C: Le fenomenologie dell’islamismo sono molto variate e altrettanto variate sono le circostanze storiche che ne determinano le scelte e le tattiche. La matrice originaria di molti dei movimenti islamisti attualmente alla ribalta nel mondo arabo, da reperirsi nella Fratellanza Musulmana egiziana, fa sì che abbiano un comune orizzonte strategico: trasformare la società in senso islamico per garantire, nel lungo periodo, la realizzazione di uno stato ispirato a princìpi religiosi. Si tratta, da un lato, di perseguire una islamizzazione dal basso che, attraverso la profonda trasformazione antropologica dei singoli individui in senso islamico, garantisca nel tempo un’altrettanto profonda trasformazione prima della collettività sociale e poi dello stato. Tuttavia, lo stato islamico è concetto talmente flessibile, per non dire ambiguo o indeterminato, che potrebbe riempirsi di contenuti istituzionali i più diversi e adatti e adattabili alle circostanze. Così in Marocco abbiamo un partito islamista, Giustizia e sviluppo, conversante col potere, cooptato nel parlamento e schierato favorevolmente alla monarchia; e un partito islamista più radicale, Giustizia e carità, che fa aperta professione di repubblicanesimo e che è escluso dalla partecipazione politica.
In Egitto abbiamo il partito ispirato dai Fratelli Musulmani, Libertà e giustizia, che sembra disponibile a sostenere il gioco democratico. Altre organizzazioni partitiche in Giordania, per esempio, o in Yemen e Libia operano in relazione alle necessità locali, siano esse quella di confrontarsi con una monarchia di legittimità religiosa o quella di confrontarsi con un tessuto sociale condizionato dal tribalismo o dalle rivalità settarie. Finora, i movimenti ispirati alla Fratellanza Musulmana si sono dimostrati piuttosto pragmatici e in grado di non farsi condizionare dalle rigidità dogmatiche. Credo che questa osservazione  – una volta i partiti islamisti si siano consolidati al potere, fatto tutt’altro che scontato – varrà anche sul piano internazionale. Mi sembra improbabile che in politica estera essi assumano un accentuato atteggiamento anti-occidentale, sebbene, certamente, ci sia da aspettarsi un irrigidimento delle posizioni nei confronti di Israele, o, per lo meno, una minore condiscendenza verso lo stato ebraico di quella dimostrata, per esempio, dal governo di Mubarak. Piuttosto, sarebbe interessante verificare se gli islamisti al potere sarebbero maggiormente inclini a una politica, per così dire, terzomondista che privilegi le relazioni Sud-Sud piuttosto che le relazioni Nord-Sud. In questo caso, sì, davvero ci sarebbe un mutamento significativo degli equilibri internazionali rilanciando il ruolo dei paesi emergenti e dei continenti emergenti (come l’Africa) sulla scena mondiale. 

EQ: L’ascesa dei partiti islamisti soprattutto in Egitto e in Tunisia ha portato alla ribalta temi da sempre legati alla contrapposizione laici-religiosi nel mondo musulmano, come la laicità dello stato sancita in costituzione, l’uso del velo  ecc.  Si parla invece poco delle differenze, se ce ne sono, tra le politiche economiche inserite nei programmi dei due schieramenti. Ci potrebbe dare una breve sintesi di tali differenze?
C: Temo che la mia risposta sarà solo tentativa perché non mi sono ancora dedicato ad  analizzare le differenze (se ce ne sono) tra i programmi economici dei due schieramenti. Mi limito a due osservazioni. Da una parte, è stato ormai dimostrato che non esistono pregiudiziali islamiche al capitalismo, anzi si potrrebbe dire che l’Islam, grazie al suo spirito commerciale ed affaristico, sia particolarmente incline ad abbracciare politiche economiche di tipo capitalistico. D’altro canto, sebbene un pensatore autorevole e complesso come Sayyid Qutb si sia duramente espresso contro il capitalismo, in tempi recenti i Fratelli Musulmani hanno scelto un orientamento liberista, spesso schierandosi contro le lotte sociali, operaie e popolari, che hanno agitato la scena egiziana. Ciò potrebbe apparire in contrasto con lo spirito egualitario del Corano e con la attenzione che il Libro sacro dedica ai poveri, ai reietti, agli oppressi da poteri iniqui. Piuttosto, ci si potrebbe chiedere se veramente i partiti islamisti, soprattutto in Egitto, abbiano un programma economico degno di nota. Bisogna forse far proprie le osservazioni di Tariq Ramadan in un libro recentissimo: “Quali sono effettivamente i pensieri sviluppati [dagli islamisti] per riformare la politica economica delle società del Sud? Si può ben invocare una economia islamica o una finanza islamica, ma nei fatti, su scala nazionale e internazionale, nulla è stato proposto che sia realmente alternativo e propriamente influenzato dall’etica islamica”.

EQ: Anche se al momento il successo dei partiti islamisti in Nord Africa sembra essere accolto positivamente dalle case regnanti del golfo, ci sono alcuni analisti che vedono in una contrapposizione tra islamismo “costituzionale” legato ai fratelli musulmani, e islamismo “monarchico” legato al conservatorismo e al wahabismo tipici delle monarchie del golfo uno degli scenari probabili per il futuro a medio-lungo termine del mondo arabo sunnita.  Qual è la sua opinione a riguardo?
C: Le monarchie del Golfo, e in particolare l’Arabia Saudita, hanno tutto l’interesse a interferire con i processi politici in atto nei paesi arabi toccati dalle rivolte, e ad aiutare e sostenere quei movimenti islamisti, soprattutto i salafiti, che si ispirano a una visione dell’Islam maggiormente rigida e conservatrice, per non dire integralista. Ciò servirebbe anche a garantire l’egemonia del Wahhabismo e del salafismo  – in una versione, sia pure, modernizzata e tutt’altro che aliena dall’utilizzo dei devices dell’attuale tecnologia – su tutto il mondo islamico, un progetto perseguito fin dai tempi del re saudita Faysal (1964-1975) e poi attraverso una miriade di iniziative e di interventi, come quelli a favore delle forze islamiste che combatterono i sovietici prima e combattono gli occidentali adesso in Afghanistan. Si tratta di un obiettivo che dovrebbe essere contrastato sia dall’Occidente (che dovrebbe temere la deriva consevatrice del Wahhabismo e del salafismo ma che continua invece a sostenere, per interessi geostrategici, monarchie reazionarie come quella saudita) sia da quelle forze musulmane moderate che come lei dice sembrano più inclini a un islamismo costituzionale. Potrebbe avere esiti favorevoli in questo senso la rivalità che in Egitto – paese centrale e chiave del mondo arabo e del Medio Oriente – , ma anche, sembra di capire, in Tunisia, divide i Fratelli Musulmani dai salafiti, a meno che poi queste forze non scoprano di poter convergere su prospettive a lungo termine comuni, come quella dell’instaurazione dello stato islamico. Lo scenario futuro è difficilmente prevedibile anche perché si registra una certa fluidità nelle strategie degli attori in campo, sulle cui decisioni potrebbero influire anche elementi esogeni, per esempio (anche se sembra più un wishful thinking che una prospettiva reale) il ritorno in piazza dei movimenti spontanei di democrazia diretta che hanno caratterizzato i rivolgimenti tunisini ed egiziani.
EQ: L’espressione “modello turco” ha caratterizzato i dibattiti riguardanti gli sviluppi futuri della primavera araba per tutto il 2011. Il 2012 ha però visto una notevole inflessione nell’uso di tale espressione forse motivata anche da un parziale arenarsi dell’iniziativa diplomatica turca nello scacchiere arabo, soprattutto in Siria, nonché da un riaccendersi di alcuni tradizionali problemi interni come quello curdo. Secondo lei ha senso parlare ancora della Turchia come possibile modello trainante per gli sviluppi politici degli stati arabi? 
C: Credo personalmente che la Turchia non abbia mai rappresentato un reale modello di riferimento per i movimenti e i partiti islamisti in azione nel mondo arabo. Sebbene, dal punto di vista puramente teorico, si possano notare certe somiglianze e certe assonanze tra l’AKP di Erdogan e i Fratelli Musulmani, questo non vuol dire affatto che i movimenti e i partiti islamisti arabi abbiano mai aspirato a porsi sotto l’ala protettrice dei turchi. Anzi, i Fratelli Musulmani egiziani hanno vivacemente contestato le presunte ingerenze turche nella situazione interna dei paesi arabi. L’attivismo diplomatico di Ankara nel 2011 ha aumentato notevolmente l’autorevolezza turca nel Medio Oriente aprendo ulteriori spazi di azione e di intervento, ma, a parte quello curdo, rimangono altri elementi irrisolti, come quello dei rapporti con l’Iran degli ayatollah. Siamo proprio sicuri che gli interessi geopolitici degli arabi e dei turchi convergano a questo proposito? L’Arabia Saudita, bastione del sunnismo (e gelosa dei propri interessi nel Golfo) accetterebbe una mediazione turca nei confronti dell’Iran, bastione dello sciismo (e fermo sostenitore dei propri interessi nel Golfo in nome del petrolio)?

Copyright Equilibri

ISSN: 2038-999X 

Saturday, March 10, 2012

8 Marzo 2012 - Mediterraneo

E' solo poco più di una impressione finora.. ma sembra abbastanza netta la futura delineazione degli equilibri di potere nel mondo arabo, e in gran parte del Mediterraneo, nei prossimi anni.
Anche se i media seguitano incessantemente a parlare della vittoria dell'islamismo, sostenuto dagli stati iper-conservatori del Golfo (Qatar, EAU e Arabia Saudita), nei paesi che la Primavera Araba ha liberato dai vetusti dittatori, molti segnali portano osservatori più attenti a intravedere uno sviluppo ben diverso dall'avvento di un Islam politico unificato dal Golfo Persico al Nord Africa.
L'Islam Costituzionale che emerge ed emergerà dagli stati "rivoluzionari" ha ed avrà un assetto politico sempre più alternativo all'Islam iperconservatore delle monarchie petrolifere, e ben presto (se ancora non l'ha fatto) le due concezioni di Islam politico entreranno in una forte competizione.
Qui però non voglio fare una analisi geopolitica. A 2 giorni dal Giorno della Donna, vorrei solo esprimere la speranza che questa competizione non vada a giocarsi, come sembra, sul terreno della dottrina islamica, e della sua applicazione civile. Un Islam costituzionale non è necessariamente moderato se l'ansia di dover dimostrare la purezza della propria fede investe la maggior parte delle persone, e riporta a galla sentimenti mai sopiti nella società. Un Islam costituzionale in competizione con un Islam iperconservatore può forgiare leggi e atteggiamenti pubblici impensabili ma già visti in passato, come nella grande svolta islamica del laico Iran dopo la rivoluzione del 1979, che vide l'appoggio della grande maggioranza della popolazione.
Purtroppo queste svolte dottrinali e queste competizioni culturali, come tutti possiamo immaginare, si giocano sempre anche, e soprattutto, sul corpo e sulla dignità delle donne. A 2 giorni dalla Giornata della Donna sento di dover esprimere quella che vuole essere una profezia intrisa della speranza di non auto avveramento.. 

Saturday, March 3, 2012

ControControinformazione : La Sinistra Italiana e la Siria

Ormai è un anno che non smetto di stupirmi di quello che continuo a leggere su alcuni siti della cosiddetta “controinformazione”, esteri ma soprattutto italiani. Della Primavera Araba ne parlano facendo una attenta analisi. Le rivolte vere, quelle meno vere, quelle false. Tutto si gioca su un unico filtro: sono queste rivolte contro un dittatore alleato delle potenze imperialiste (alias americani, israeliani, e in misura più tenue europei)???? Si? La Rivoluzione ha la R maiuscola! È senz’altro reale e non ci sono interferenze di alcun tipo. La riposta è no? Allora si tratta certamente di un complotto, di una macchinazione imperialista. Perché mai la gente dovrebbe ribellarsi ad un dittatore che contrasta il capitalismo mondiale, il sionismo, l’imperialismo? La gente certamente è ben felice di far parte di uno stato che si pone questi obiettivi. Quindi non si ribella certamente si sua volontà.

Questo è più o meno la posizione di gente come Fulvio Grimaldi, InfoPal ecc., che si nessuno fortunatamente si caga più di tanto, ma che hanno un notevole seguito in certi ambienti. Si possono tralasciare qui argomenti come il fatto che Assad non ha sparato un solo proiettile contro Israele dagli anni 70 (mentre ne ha sparati, e molti, contro i suoi stessi cittadini già nell’82 ad Hama). Il discorso in realtà dovrebbe partire da un radice ben più basilare. Perché al siriano medio dovrebbe importare della retorica anti imperialista e anti sionista del suo dittatore quando… beh.. è appunto un dittatore?  Quando non può votare, non può esprimersi, non può informarsi. Quando è schiacciato quotidianamente da un sistema retto dall’impunità, dall’arbitrarietà e dalla corruzione? Ma come si fa a chiudere gli occhi perfino sulla propria storia? Il caro duce combatteva pure lui i capitalisti in fin dei conti.. eppure sono certo che non fosse quello il tipo di problema che i partigiani avevano con lui.. 

Ci siamo sbagliati tutti. Negli ultimi 60 anni il primo nemico degli arabi non è stata Israele, e nemmeno gli Stati Uniti. Il primo nemico degli arabi erano (e sono) altri arabi che con qualche distorta ideologia di pan-qualcosa, o qualcosa-ismo li hanno tenuti in gabbia per decenni.
E’ facile stare qui, imbottiti delle nostre ideologie da salotto a classificare i buoni e cattivi come più ci aggrada e come piu’ soddisfa le nostre vetuste ideologie da novecento, mentre viviamo in un paese con tanti difetti, ma dove perfino uno come Fulvio Grimaldi è libero esprimere le sue stronze teorie sulla politica internazionale. E’ meno facile, almeno per me, però capire come si possa arrivare a pretendere che qualcuno che vive in uno stato d polizia possa e debba condividere gli stessi criteri.

Non ho nessuna risposta a ciò, ma posso dire una cosa; la primavera araba è stato probabilmente il primo evento del genere    che ho potuto seguire con occhio almeno ragionevolmente “esperto” (in fondo è iniziata 2 mesi dopo che son tornato da un anno e piu’ in Medio Oriente) e ciò che ho potuto leggere sui media di una certa parte della sinistra mi ha reso guardingo. In altri tempi ero abituato a credere ciecamente, ora non riesco più. Ringrazio quindi i vetusti vetero-stokazzo per aver rovinato buona parte della fiducia che riponevo nella parte politica che ho sempre ritenuto il mio ambiente naturale. E mentre io son qua a guardarmi intorno circospetto, migliaia di orrendi cospiratori versano sangue innocente sotto le bombe di Homs.  

Wednesday, February 29, 2012

Chiudendo gli Occhi di Fronte al Sangue: Perchè gli attivisti per i diritti umani ce l'hanno tanto con i siriani?

Riporto di seguito la traduzione italiana del post di Mary Rizzo su "We write what we like" wewritewhatwelike.com . Credo sia un'ottima sintesi dei sentimenti che colpiscono coloro che per anni hanno avuto a cuore ciò che accadeva in Medio Oriente, e specialmente in Palestina, e che ora vedono molte persone con cui (anche soltanto virtualmente) hanno condiviso ideali e lotte, dall'altra parte della barricata nella questione siriana. Ciò che si legge in questo periodo da pseudo giornalisti come Fulvio Grimaldi o InfoPAL è raccapricciante, ideologico, e pone diversi dubbi su quali siano mai stati i veri sentimenti di queste persone. Forse è solo l'ideologia che li guida, una visione del mondo vetusta, schematica che non ha niente a che fare con la sorte della gente che questo mondo lo popola. Non voler capire o non voler semplicemente vedere che il regime siriano era oppressivo, violento e fascista esattamente come quello Tunisino o Egiziano solo perchè si opponeva agli americani e agli israeliani invece di appoggiarli è incredibile. La Guerra Fredda è finita, ammesso che anche durante la Guerra Fredda fosse lecito classificare le tragedie della terra con la cartina tornasole del "pro" o "contro" Mosca o Washington. 


di Mary Rizzo 



“Sarebbe stato meglio nascere animali piuttosto che siriani. Avresti ricevuto maggiore protezione.”


Stavo riflettendo tra me e me, ed a volte a voce alta, “Che cavolo è successo all’empatia e all’umanità del movimento degli attivisti? Quando hanno deciso quale sangue non valeva molto? Dov’sono andate la loro compassione, empatia e senso della giustizia?”

Ci sono alcune qualità che un’attivista dovrebbe possedere come parte obligatoria del proprio bagaglio. Non tutti devono avere una soluzione ai problemi che affligono le vittime o i deboli nelle cause che sostengono. Nemmeno devono dedicare molto tempo o soldi alla causa. Si potrebbe fare l’attivista oggigiorno localmente o anche se si è disabili o si   hanno difficoltà a lasciare le proprie case. Ci si può esprimere, condividere informazioni, e fare azioni di solidarietà attraverso internet. Le qualità, però, che dovrebbero essere a disposizione di ogni attivista includono l’empatia, un po’ di coraggio ed un forte desiderio che “il bene” abbia il sopravento e sconfigga “il male”. Che questo bagaglio così cruciale e obligatorio sia diventato così selettivo deve essere il colpo più fatale all’universo dell’attivisimo. Lo fa puzzare di ipocrisia e serve principalmente la causa degli oppressori.     

L’empatia è una risposta sociale ed emotiva alle condizioni in cui vivono altri essere senzienti. Siccome tutti noi possiamo concordare che dolore e sofferenza (compresso quello d’essere vittima di abusi, fame e privazioni) sono cose negative, non dovrebbe essere difficile sentirsi male, “come se” quello che succede potesse succedere a noi o alle persone che amiamo. Se siamo capaci di sconnettere l’empatia perché abbiamo un’ideologia cui fare fede, accompagnata da una sorta di strana pressione sociale, qualcosa è andato storto. Se siamo selettivi per un concetto quale il dolore umano e la per nostra capacità di accettarlo (per gli altri), abbiamo bisogno di una lunga pausa di riflessione per pensare ex novo che cosa stiamo facendo nel mondo dell’attivismo. Dobbiamo ricordare che l’empatia potrebbe essere uno strumento per il cambiamento, dobbiamo metterlo al nostro servizio e capire che la gente che soffre (e in alcuni casi gli animali) percepisce il nostro coinvolgimento oppure la nostra indifferenza, e possono servire delle capacità tipiche degli (soprattutto) attivisti per far sì che i sentimenti di empatia si manifestino e vadano verso la fine della sofferenza, che rimane l’oggetto primario ed immediato.

Per poter capire, testimoniare ed identificarsi con la sofferenza estrema che è la realtà di alcuni, un attivista deve possedere la capacità di aiutare in una maniera concreta il cambiamento della condizione di dolore e di sofferenza attraverso il riconoscimento della condizione, seguito da azioni atte a    intervenire a favore delle vittime. Dall’altra parte, la loro indifferenza potrebbe dare sostegno al violento, all’ oppressore, che crede che la sua violenza sia giustificata.

Non c’è stata mancanza di prove per moltissimi mesi che in Siria la situazione attuale è una crisi umanitaria di gravità estrema. A citare alcune statistiche, molte delle quali provenienti dagli organi internazionali considerati come altamente autorevoli come l’ONU, Human Rights Watch, Amnesty International e altri ancora, in undici mesi dalle prime manifestazioni contro il regime, ci sono stati 6.000 civili uccisi, da cecchini, da     bombardamenti con mortai, bombe e pestaggi, anche se altre fonti dichiarano che il numero vero è molto più alto, visto che la scoperta di fosse comuni e la “sparizione” di manifestanti è un evento frequente. 70.000 persone sono state arrestate, la stragrande maggioranza senza accuse specifiche oppure accusate di crimini che nessun tribunale normale potrebbe sostenere, compresi crimini di pensiero e di intento. Ci sono stati casi documentati in modo costante di abusi e tortura, con i corpi segnati dalla brutalità che è difficile immaginare. Le scene sono così orribili e devastanti, che in anni ed anni di attivismo per i diritti umani e soprattutto per quelli palestinesi, non ho mai visto questo livello di depravazione, questo livello di crudezza.

La settimana scorsa, la città di Idleb ha subito un attacco molto sanguinoso: un gruppo di persone sono state vittime dello scoppio di una bomba di chiodi, che ha conficcato piccolissimi pezzi di metallo nella loro carne, daneggiando gli organi interni e causando emorragia interna fino ad arrivare ad una morte dolorosa. Sono stati trasportati all’ospedale civile per il loro funerale, ma lì, altri 60 corpi erano scoperti nelle celle frigorifere, tutti con segni di tortura estrema. L’ospedale è occupato dalla militia del regime che ha sparato alla gente e proibito a qualsiasi ferito le cure. Gli ospedali ora servono soltanto al il regime per rimanere al     potere a tutti i costi. L’immagine che è venuta alla mente di un’amica attivista che ha visto le foto erano le immagini  di persone faccia in giù nel proprio sangue a Sabra e Shatilla. Ma, questi sono sirianni, e per un motivo che non riesco a capire, la maggioranza degli attivisti per la Palestina preferiscono ignorare il tutto. Stano portando gli paraocchi oppure sono incapaci di provare empatia con i siriani? 

Che ci sono più di 20.000 rifugiati che hanno cercato la salvezza in Turchia nelle tende è un altro numero che dovrebbe essere un dato insopportabile per un attivista. Sappiamo bene quello che è il destino dei rifugiati, il fatto che spesso non possono mai tornare e soprattutto, le condizioni atroci in cui sono costretti a vivere. Un attivista dovrebbe essere preoccupato per tutto questo. Quanti Siriani sono fuggiti in Libano o anche più lontano? Nessuno conosce i numeri perché spesso questa gente continua ad essere minacciata e ricercata anche in esilio.

Come mai gli attivisti non riescono a capire la severità della situazione? Perché denunciano i manifestanti negli stessi termini che sono usati dal regime, nonostante montagne di prove che dimonstrano che non è un governo umano? Come mai hanno fatto uso di Twitter, Facebook ed i blog per settimane contro lo spray al pepperoncino negli occhi dei manifestanti americani, ma gli assalti mortali contro civili (compreso più di 300 bambini che sono morti per mano del regime, molti di loro soggetti alla detenzione e alla morte per torture) sono ignorati? Sono i Siriani figli di un dio minore?  Sono meno degni di protezione e di interesse? E’ mai possibile che studenti universitari americani che dopo la manifestazione possono tornare nei loro dormitori e sanno che le loro vite non sono in pericolo ottengono più comprensione e empatia dagli attivisti che bambini arabi innocenti che hanno perso le loro vite sotto la crudeltà di una milizia repressiva?
Alcuni diranno, “Perché dici che è peggio se qualcuno uccide la propria gente?” come una scusa per poi parlare di un altro luogo geografico, un’altra situazione. Altri diranno che il regime di Assad è l’ultimo baluardo contro l’imperialismo, che è l’unico argomento che riescono a trovare. Sono sicuri che dietro tutte le proteste c’è un complotto imperialista, qualcosa che non dicevano     per le stesse proteste in Tunisia, Egitto ed a volte, verso l’Intifada palestinese. Molte di queste persone che dichariano che non può     essere una rivolta sincera e popolare oppure una rivoluzione vivono in società ricche in Europa e Nord America, dove hanno il diritto di dire qualsiasi cosa vogliono senza avere paura di essere arrestati. Però, non hanno mai fatto parte di una rivoluzione o di una rivolta contro il governo al     potere. Altri dicono che non ci deve essere l’intervento esterno, ma fanno il tifo per la Russia, il Libano e l’Iran perchè continuino ad armare il regime perché lo sostengano per il più lungo tempo possibile. Altri diranno che l’Esercito della Siria Libera è una milizia imperialista (???!!!) e che sta fomentando la guerra, non essendo una vera milizia di resistenza. Ancora altri dicono che entrambi i lati hanno la colpa, mettendoli sullo stesso piano, una cosa che non si azzardarebbero a fare se fosse la Palestina. Come è possible mettere a pari merito civili con un potere armato che controlla il governo, l’economia, che potrebbe togliere l’acqua, la corrente e il gas per proprio sfizio, arrestare persone in modo arbitrario a migliaia, chiudere ospedali, invadere città con carri armati, bombardare le persone mentre stanno nelle loro case e mettere cecchini sui tetti,  dovesse mai qualcuno provare a scappare? 
Un mio amico siriano mi ha detto qualche mese fa, “Se solo fossimo degli animali, credo che ci sarebbero più persone a provare la compassione per noi.” Dopo alcune settimane, ha preso atto anche dell’abbandono totale degli Attivisti per la Palestina, che ripetono le posizioni retoriche di Assad senza nemmeno un motivo pratico per farlo se non la loro mancanza di umanità oppure la loro mancanza di occhi per vedere. Mi ha detto, “Dovremmo dire a tutti semplicemente che siamo palestinesi, forse solo allora si sentiranno male per come stiamo morendo.” Io lo porterei ancora avanti il pensiero: alcuni anni fa Vittorio Arrigoni ha scritto un pezzo molto toccante. Io chiedo agli attivisti per la Palestina in modo particolare di leggerlo e rifletterci sopra.
“Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola” mi dice Jamal, chirurgo dell’ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. “Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l’ultimo miagolio soffocato.” Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua “Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell’opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste…” il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi la schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati.”A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.”

In questo momento, queste vittime sono siriani. In questo momento, la media di 40 vittime al giorno (ma cresce negli ultimi giorni), a volte 100 vittime ogni giorno, è ciò che accade in Siria. 







Saturday, February 25, 2012

Anormalità


Ieri con un amico si parlava del fatto che me ne sono andato dalla Siria nel settembre 2010, pochissimo tempo prima che cominciasse tutto ciò che vediamo oggi. Mi è stato chiesto se si potesse avvertire qualcosa nell'aria e io sono rimasto abbastanza confuso.. la mia prima risposta è stata no. In effetti non c'era niente che potesse far presagire una cosa del genere. Così come credo non ci fosse niente in Egitto, in Tunisia, Libia, Yemen o Bahrein. Non si vedeva nulla di più della normale corruzione,  frustrazione, disoccupazione e disparità che chiunque conosca e sia stato nel mondo arabo può vedere tranquillamente.
Si fa molto parlare delle origini della primavera araba. Io penso che la chiave sia capire come questa normalità all'improvviso si sia trasformata in anormalità, rabbia e sdegno. Bouazizi ha fatto risvegliare l'orgoglio della gente dal coma catatonico in cui era sopito da decenni, ma forse anche di più. Come ci sia riuscito penso sia una dei dilemmi più interessanti che gli psicologi sociali avranno da dirimere in questo secolo.
Ricordo in particolare come, frequentando la gente e parlando coi siriani, si capisse che tutto questo non era semplicemente il frutto di un apparato corrotto, magari sostenuto dall'estero, che opprimeva la gente onesta, come molti cercano di semplicisticamente di descriverlo. Era una generale degradazione del vivere civile che non coinvolgeva solo l'elite, bensì tutti quanti, dal vigile o il funzionario pubblico che preferivano prendere le bakhshish ("mazzette") al poso di far le multe, alla gente che non riusciva a rispettare nemmeno una semplice fila in posta o al ristorante. Perchè se era vero che gli Occidentali hanno certamente molte colpe scaricare loro addosso  tutta la responsabilità è un alibi che i popoli arabi non possono più permettersi. Qualcosa si è mosso. La crisi economica? Un maggior livello culturale delle persone? I social Media? ... forse tutto questo ma non solo. Ma ciò è relativamente importante adesso. Quello che importa è trovare un modo per evitare, come si comincia a vedere in Tunisia o Egitto, che la anormalità ritorni ad essere normalità e che l'assuefazione si impadronisca ancora delle coscienze.