A pochi giorni dalla conclusione del terzo ed ultimo turno di consultazioni in Egitto, è possibile iniziare a tirare le somme di quella che per i liberali e la sinistra egiziana è stata certamente una sonora sconfitta. Le forze islamiste, guidate dal partito dei Fratelli Musulmani “Libertà e Giustizia” che ha ottenuto quasi il 50% dei suffragi, si aggiudicherebbero più dei due terzi dei seggi parlamentari.
Un risultato parzialmente annunciato
Nonostante le dimensioni di questa sconfitta siano certamente sorprendenti, fin dall’inizio nessuno nel campo laico si aspettava realisticamente di poter puntare ad una vittoria elettorale. Sin dal referendum costituzionale del 19 Marzo 2011 (che chiedeva agli egiziani di scegliere, tra le altre cose, se tenere le elezioni entro l’anno, opzione benvoluta dai partiti islamisti, o posticiparle per permettere alle nuove forze politiche di organizzasi e consolidarsi, come chiedevano i movimenti più laici e progressisti), appariva infatti chiaro il peso schiacciante che la consolidata presenza sul territorio dei movimenti islamisti avrebbe avuto sugli sviluppi politici successivi.
Secondo molti esponenti politici laici, che in questo momento sono impegnati nel dibattito sull’analisi della sconfitta, a pesare più di tutti gli altri fattori sul risultato elettorale è stata la grande differenza tra gli schieramenti in termini di presenza stabile e radicata sul territorio. Non è un segreto, infatti, che nonostante i decenni di repressione da parte dei diversi governi dittatoriali che da Nasser a Mubarak si sono avvicendati in Egitto, i Fratelli Musulmani siano stati in grado negli anni di sviluppare una fitta rete di attività religiose, servizi sociali, sanitari, educativi, nonché una forte presenza nelle organizzazioni professionali. Il fatto che questa tentacolare organizzazione sia stata trasferita in blocco al servizio del nuovo partito fondato dalla fratellanza in seguito alla caduta di Mubarak (a nessun membro dei Fratelli Musulmani è stato permesso di iscriversi e fare propaganda per partiti diversi da Libertà e Giustizia, pena l’espulsione senza appello dalla fratellanza) ne ha certamente amplificato enormemente le potenzialità elettorali.
Un discorso leggermente diverso va fatto invece per quanto riguarda il grande successo (circa il 24% dei suffragi) ottenuto dall’ala più oltranzista dello schieramento, ovvero quella rappresentata principalmente dal partito di ispirazione salafita al-Nur. Se da una parte, infatti, anche per i movimenti salafiti come al-Dawaa (il movimento di cui al-Nur è emanazione) è corretto affermare che godano di una tradizionale e consolidata presenza sul territorio ( o almeno in alcuni centri come Alessandria), bisogna anche dire che questa non è neanche lontanamente comparabile alla presenza territoriale dei Fratelli Musulmani, e che con ogni probabilità le ragioni del loro successo vanno ricercate anche in altri fattori. A questo proposito gli esponenti politici laici hanno in questi mesi avanzato ripetutamente forti sospetti riguardo l’inspiegabile improvvisa capacità finanziaria dimostrata dai movimenti salafiti, che sono stati in grado di articolare una campagna elettorale efficace e molto costosa, pur avendo le proprie tradizionali roccaforti di consenso in aree molto povere.
I sospetti si concentrano sulla probabile, ma fin’ora non provata, presenza di grossi aiuti economici provenienti dall’estero, e soprattutto dalle monarchie del Golfo (Qatar e Arabia Saudita sono i principali sospettati), che vedrebbero in al-Nur un possibile avamposto wahhabita (l’islam radicale applicato dalla monarchia saudita) in Egitto. Una possibile forte influenza saudita all’ombra delle piramidi non sarebbe malvista nemmeno da Washington, che infatti non si è espressa in maniera particolarmente allarmata riguardo al notevolissimo espluà elettorale delle forze islamiste più radicali.
Contrapposte narrative della Rivoluzione
Questi fattori più “concreti” non sono però gli unici da tenere in considerazione. Non sono mancate infatti in questi mesi le battaglie propagandistiche incentrate sul simbolismo della rivoluzione. Mentre infatti all’estero è passata soprattutto la narrativa promossa dalle forze laiche e progressiste che pone al centro del cambiamento rivoluzionario in primo luogo i giovani liberali e la sinistra, protagonisti della “Rivoluzione di Internet” e veri motori del movimento di Piazza Tahrir, la narrativa che ha prevalso all’interno dell’Egitto è risultata piuttosto differente.
I movimenti progressisti hanno infatti da un lato scontato la loro natura intellettuale-elitaria (gran parte degli aderenti a movimenti come il 6 Aprile proviene infatti da famiglie agiate) per quanto riguarda soprattutto l’attivismo telematico, mentre dall’altra non hanno potuto sfruttare a pieno il movimento sindacale di cui sono stati protagonisti all’interno delle aziende private e pubbliche in un paese ancora privo, a parte alcune eccezioni, di una base operaia e una cultura sindacale solide e radicate.
Tutto questo ha dato la possibilità alle le forze islamiste, la maggioranza delle quali inizialmente aveva rifiutato di aderire alle manifestazioni di Piazza Tahrir, di far valere il peso degli anni di opposizione al regime che soprattutto i Fratelli Musulmani possono vantare. Per l’egiziano medio, infatti, è risultato molto più semplice associare la fratellanza al merito della caduta di Mubarak, piuttosto che associarla ad una delle nuove numerosissime sigle di partiti e di movimenti laici quasi completamente sconosciuti alla maggior parte della popolazione.
Frammentazione e polarizzazione
Non risulta però sufficiente esaurire le spiegazioni per questa grave sconfitta attribuendola solamente ad un contesto sociale e politico assai sfavorevole. Non sono mancati, infatti, gli errori strategici, anche gravi, che le forze laiche hanno commesso durante i mesi di preparazione alla campagna elettorale. In primis, basta dare un’occhiata alla tabella dei risultati delle elezioni che proponiamo di seguito per capire quanto frammentato fosse lo schieramento laico.
Mentre infatti in cima alla lista possiamo facilmente riconoscere le liste di Libertà e Giustizia e di al-Nour, per rintracciare lo schieramento laico dobbiamo raggruppare tre liste diverse, al-Wafd (storico partito liberale egiziano presente già nelle elezioni dell’era Mubarak), il Blocco Egiziano (una coalizione che comprende sia forze liberali che forze socialiste, accomunate sostanzialmente soltanto dalla contrapposizione ai movimenti islamisti) e Rivoluzione Continua (coalizione formata da molti nuovi partiti progressisti fondati soprattutto dai movimenti giovanili che hanno animato i giorni di Piazza Tahrir).
A loro volta il Bloco Egiziano e Rivoluzione Continua sono espressione di numerosi partiti di medie e piccole dimensioni che durante la campagna elettorale sono entrati spesso in contrasto. Questo clima di frammentazione e spesso di litigiosità non ha certamente giovato alla capacità comunicativa dello schieramento laico, che ha faticato non poco a far comprendere soprattutto agli strati più popolari della società il proprio messaggio politico e le differenze, spesso sottilissime, fra i vari partiti che lo compongono. Ciò ha portato, al contrario, ad una fallimentare eccessiva semplificazione del quadro politico, e spesso ridotto il dibattito alla semplice polarizzazione tra laici e islamisti, identificati come migliori rappresentanti della società tradizionale. Ne sono risultati trascurati quindi temi di fondamentale importanza come quelli economici, riguardo ai quali le forze progressiste non sono riuscite a far valere di fronte agli strati più poveri i loro programmi assai più orientati all’equità delle retribuzione e alla salvaguardia dei servizi sociali fondamentali.
Conlusioni - Scenari e incognite del prossimo futuro
In un contesto di elezioni democratiche normali, una sconfitta, seppur cocente, non è mai una situazione irrecuperabile. Non sarebbe infatti la prima volta che un partito, o una coalizione, pesantemente sconfitti in un confronto elettorale risultino poi in grado di vincere quello successivo. E’ però assai ottimistico pensare che il periodo post rivoluzionario egiziano possa già essere descritto come un normale contesto democratico. Questo per due fattori principali, che costituiscono gli elementi maggiori di incognita per il prossimo futuro.
Il primo, e il più evidente al momento, è costituito dal clima di scontro tra gli attivisti della sinistra politica e la giunta militare che si è nuovamente esacerbato a partire da fine Novembre, con sanguinosi scontri soprattutto al Cairo. Non è infatti da trascurare il fatto che al momento il potere in Egitto, in quasi tutte le sue forme, sia ancora detenuto dai militari. Quest’ultimi, forti della travolgente vittoria dei partiti islamisti, con cui da mesi hanno sottoscritto una tacita ma piuttosto evidente alleanza di mutuo rispetto e non belligeranza, potrebbero ora decidere di indurire il proprio atteggiamento verso la sinistra progressista procedendo ad una massiccia campagna di arresti e repressioni.
Questo è certamente una scenario probabile, anche se non nella sua forma più estrema. Non mancano, infatti, soprattutto all’interno dell’ala giovanile dei Fratelli Musulmani, esponenti di rilievo che non vedono affatto benevolmente l’operato della giunta militare e che sono molto sensibili ad alcuni ai temi economici e sociali portati avanti dagli attivisti di sinistra. E’ pertanto improbabile che ai militari venga data carta bianca per procedere ad una repressione veramente feroce, anche se certamente lo spazio di manovra della giunta in questo senso si è certamente allargato.
Il secondo fattore, forse ancor più importante, riguarda lo scottante tema della nuova costituzione. Il parlamento eletto a questa tornata elettorale sarà chiamato infatti a redigere la nuova carta costituzionale del paese, stabilendo i principi e le regole fondamentali anche per la libertà di culto, di espressione e soprattutto le modalità in cui i prossimi confronti elettorali verranno attuati.
In passato la leadership di Libertà e Giustizia ha affermato che , qualunque fosse stato l’esito del voto, avrebbe comunque optato per una alleanza con le forze laiche per la nomina dell’assemblea costituente. Questo al fine di garantire una nuova costituzione che fosse espressione di tutte le realtà politiche e religiose del paese. Nonostante tale promessa, non sono però pochi coloro che temono che soprattutto l’ala più conservatrice dei Fratelli Musulmani sia tentata di spingere il movimento ad una comoda alleanza con le frange più estremiste come i salafiti di al-Nur. Tale alleanza infatti avrebbe tutti i numeri per poter garantire l’approvazione di una carta costituzionale estremamente influenzata dalle dottrine islamiche e meno garantista rispetto ai principi fondamentali come la libertà di culto e di espressione, nonché di rappresentanza politica.
Questo è certamente il pericolo maggiore che incombe sul futuro prossimo dei progressisti egiziani, che sono ben consapevoli di non avere la forza parlamentare per opporsi democraticamente ad uno scenario del genere. La conseguenza potrebbe perciò essere il riaccendersi degli scontri di piazza, questa volta non più contro la sola giunta militare, ma anche contro gli avversari politici islamisti, portando il paese nuovamente in un caos pericoloso, simile a quello immediatamente seguente la caduta di Hosni Mubarak. Di tutto ciò sono pienamente consapevoli anche le leadership dei partiti islamisti, dalle cui prossime decisioni, in ultima analisi, dipendono in questo momento gli sviluppi politici dell’Egitto.
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