I am sorry for the long absence. I publish today my translation in Italian published on Equilibri.net of the article of Wael Gamal "Why the Labour Movement has success and the politicians and the politicians fear" published first on the Egyptian newspaper "al-Shurouq".
Introduzione*
di Eugenio Dacrema
Il tema del movimento sindacale in Egitto (di cui abbiamo precedentemente trattato in un'altra traduzione :http://www.equilibri.net/nuovo/articolo/egitto-i-sindacati-tra-il-partito-democratico-e-i-fratelli-musulmani) continua riproporsi come uno dei temi centrali nel turbolento presente post-rivoluzionario egiziano.
Dalla Rivoluzione di gennaio a oggi la scena sindacale egiziana, già piuttosto vivace in tutti gli anni duemila, ha subito un repentino sviluppo dei sindacati indipendenti in molte aziende e laboratori. Alcuni di essi, esistenti già prima della caduta di Hosni Mubarak, hanno contribuito in modo determinante sia alla Rivoluzione di Gennaio vera e propria (con un enorme sciopero perdurato lungo tutto il periodo delle proteste in Piazza Tahrir), sia soprattutto negli anni immediatamente precedenti, in cui il neonato e semi-clandestino movimento indipendente dei lavoratori è servito da “laboratorio rivoluzionario” in cui molti esponenti dell’opposizione hanno potuto conoscersi, collaborare e mettersi in rete.
Durante tutta l’estate appena trascorsa si sono susseguiti numerosi scioperi e manifestazioni in praticamente tutti i settori lavorativi, sia statali che privati, nonostante una dura legge varata dalla giunta militare al potere per criminalizzare scioperi e manifestazioni sindacali messi (in parte strumentalmente) sotto accusa perché minerebbero la stabilità politica e la struttura economica del paese.
Studiare questo fenomeno è importante per capire il presente egiziano e il suo prossimo futuro per due ordini di fattori; da un lato esso ci da l’idea di come la Rivoluzione abbia scoperchiato il vaso di pandora delle enormi diseguaglianze sociali che le politiche neoliberiste degli ultimi anni di Mubarak hanno acuito e che hanno portato progressivamente la ricchezza del paese ad essere distribuita in modo totalmente disomogeneo, minando così sia i livelli di vita delle classi medio-basse, sia la forza del mercato interno del paese, fondamentale per la sua crescita economica.
Dall’altro lato gli sviluppi sul piano sindacale ci danno un punto di vista interessante di quella che è la scena politica egiziana a meno di due mesi dalle elezioni che si dovrebbero tenere in Novembre, fatto salvo che non vengano nuovamente rimandate (inizialmente erano previste durante il mese di Settembre). Come si può leggere nell’articolo, nonostante il movimento sindacale sia in grado di mobilitare centinaia di migliaia di persone, esso non sembra in grado di trovare una sponda politica adatta a rappresentarlo. Ciò è sintomatico della grande difficoltà in cui versano i partiti di recente formazione (Ghad, Karama ecc. ) e di ispirazione laica (Tagammu, Wafd) della scena egiziana ancora incapaci, come ci ricorda l’autore, di porsi davvero in prima linea nei temi della giustizia sociale per non perdere i finanziamenti (importantissimi in vista di una intensa campagna elettorale) dei ricchi uomini d’affari, perlopiù interessati alla perpetuazione dello status quo e quasi tutti compromessi con il regime abbattuto.
Tale situazione ci porta facilmente a prevedere una vittoria delle forze più conservatrici quali i Fratelli Musulmani e gli eredi politici del Partito Democratico Nazionale (il partito di Mubarak, ancora saldamente radicato in buona parte dell’Egitto) che potrebbero avere facilmente ragione di una opposizione laica e progressista ancora in forte svantaggio sul piano della presenza effettiva nella società e che non riesce ancora a coinvolgere pienamente l’unica forza in grado colmare tale svantaggio, ovvero il movimento sindacale.
Sull'autore dell'articolo:
Wael Gamal è un giornalista egiziano che scrive per giornale al-Shurouq del Cairo. Ha scritto per molti anni sui temi dell’economia e della società del suo paese e specialmente sulla politica economica.
Di Wael Gamal
*L’articolo è comparso in lingua araba prima sul quotidiano al-Shurouq e poi nella sezione araba della testata online al-Jadaliyya
La scena politica egiziana, così com’è dopo la Rivoluzione, non ha riscosso i consensi che invece ha avuto il Movimento dei Lavoratori nonostante gli attacchi ricevuti attraverso una mirata campagna propagandistica. Numerosi partiti politici e media, alcuni anche di recentissima creazione, hanno insistito a lungo sul fatto che le proteste e gli scioperi dei lavoratori danneggiano l’economia e la vita degli egiziani, nonché il futuro della Rivoluzione. Il Governo e il Parlamento militare si sono affrettati a scrivere una legge per criminalizzare gli scioperi motivati da rivendicazioni economiche, oltre naturalmente il loro incoraggiamento e pubblicizzazione.
Hanno quindi iniziato ad applicarla per portare davanti al tribunale militare i lavoratori della Petrojet (*Una grande azienda contractor nel settore energetico egiziano) e utilizzare la forza più di una volta contro gli scioperi nei laboratori metallurgici, di ceramica ecc.
E mentre tra la maggior parte degli attivisti politici e dei partiti regna la frustrazione a causa del fallimento dell’accordo con la giunta militare per una nuova legge sui partiti, il prevalere del punto di vista dei militari per quanto riguarda le modifiche costituzionali e,infine, la paura di una nuova più pesante legge d’emergenza, il Movimento dei Lavoratori è riuscito a non arretrare.
Così abbiamo assistito il 31 Luglio ad una grande manifestazione di lavoratori, amplificata dal continuo ignorare nei provvedimenti di politica economica delle richieste degli operai per un aumento dei salari e la lotta alla corruzione soprattutto nel settore del lavoro pubblico. Ad essa ne sono seguite 52 in Agosto fino alla grande onda di settembre che ha coinvolto centinaia di migliaia di insegnanti, lavoratori delle poste, dei trasporti, medici, professori universitari ecc. Il governo ha risposto ribadendo con forza l’applicazione della legge che criminalizza gli scioperi e dicendo che non avrebbe trattato se non dopo la fine delle proteste e degli scioperi. Ma cos’è successo? Il governo ha dovuto cominciare a rispondere alle richieste principale degli scioperati come ad esempio ai lavoratori delle poste
Forse questa espansione delle proteste è stata più strutturata al punto che forse non si è vista un altro movimento di piazza come questo dopo la Rivoluzione: l’ottenimento del diritto senza restrizioni è infatti alla base della fondazione dei sindacati indipendenti, così come la loro diffusione nelle fabbriche del paese e lo scioglimento della corrotta Unione dei Lavoratori (*il sindacato di regime sotto Hosni Mubarak) da sostituire con una commissione indipendente.
Perché nessuno riesce a fermare il movimento dei lavoratori?
Durante una trasmissione televisiva di una emittente privata, una signora che parlava a nome di uno dei movimenti politici che appoggiavano il presidente abbattuto (e lei naturalmente non è una criminale, al contrario degli scioperanti), ha accusato i rivoluzionari di “mancanza di sensibilità” nei confronti della vita degli egiziani i quali soffrono per il perdurare dell’instabilità politica.
Non è possibile rivolgere questa accusa agli scioperanti e anzi, dovrebbe essere rivolta all’opposto, poiché questa campagna è la continuazione della Rivoluzione la quale non si esaurisce sul piano politico ma deve progredire soprattutto su quello economico; e per questo risulta naturale lo scendere per le strade.
Questo movimento è la prova contro coloro che parlano degli egiziani come persone ottuse nei riguardi della rivoluzione, interessate solo ad ottenere pochi risultati materiali solo per loro stessi, e risolve tutti i dilemmi dei politici sul forza della popolazione di sostenere e difendere le basi della rivoluzione.
Questo movimento si distingue anche per la capacità delle sue gerarchie di lavorare sulla realtà concreta e di iniziare da essa. La sua leadership è naturalmente eletta in maniera democratica e sottomessa ai risultati che riesce ad ottenere, al suo attivismo e alla capacità di esprimersi nelle faccende centrali per il movimento. Le leadership sindacali sono una parte che non si divide dal resto dei lavoratori poiché esso è controllato dal basso verso l’alto e non al contrario. I suoi leader sono pertanto un’espressione reale della propria base.
I partiti politici invece funzionano al contrario: dall’alto verso il basso. E così affrontano i dilemmi su come soddisfare la gente o su come entrare in contatto con essa soprattutto con la formazione di partiti piccoli cercando di rivolgersi alla “coscienza” della gente, e questo comportamento è ciò che li rende percepiti come strani ed esterni dai cittadini come una parte del corpo che viene innestata chirurgicamente e che il corpo può ugualmente rifiutare oppure accettare.
Una forte base di compromesso
Il movimento degli scioperanti si appoggia anche ad una solida base omogenea nel confronto diretto coi politici e la maggior parte dei partiti. Le richieste degli scioperanti sono riuscite a trovare una base comune nonostante le numerose divisioni tra operai delle fabbriche e lavoratori dei servizi oppure tra i lavoratori collocati in diverse aree geografiche del paese: aumento dei salari, miglioramento degli orari lavorativi, lotta alla corruzione, diritto alla difesa della saluta e alla formazione.
Questo unità è servita a rispondere ai molti che sostenevano che tra i lavoratori ci fossero più divisioni che motivi di unità. Essa inoltre dimostra così la natura popolare delle loro rivendicazioni, la loro chiarezza e correttezza, e soprattutto il collegamento diretto tra il Movimento e la vita delle persone. Questa natura inconsuetamente combattiva ha permesso al Movimento di insistere eroicamente nella lotta per i diritti, nonostante la debolezza dei mezzi a disposizione e la mancanza di attenzione dei media e delle istituzioni.
Le politiche liberiste, intraprese dal regime di Hosni Mubarak sullo sfondo del suo progetto di lasciare un giorno il potere al figlio, hanno creato un nuovo piano d’azione in Egitto unendo le rivendicazioni dei lavoratori sia delle fabbriche che dei servizi che hanno subito un progressivo impoverimento durante il periodo delle liberalizzazioni economiche e il progressivo abbandono dell’economia precedente che li vedeva ben inseriti nella classe media del paese. Si sono quindi rifugiati nell’uso dei classici metodi di pressione sindacale auto organizzati. Si sono saputi dare un metodo comune di organizzazione prima della Rivoluzione, durante la quale sono stati capaci di mettere in piedi un formidabile sciopero a Gennaio contribuendo poi alla continuazione della rivoluzione passo dopo passo.
Proviamo a comparare ciò con questi partiti politici, i quali pretendono di rappresentare gli egiziani e poi prendono i finanziamenti degli uomini d’affari, e che non sono ancora riusciti a mettere insieme delle gerarchie in modo legale. Proviamo a confrontarli con quelli tra essi mettono la giustizia sociale in cima ai proprio programmi e poi ne osteggiano la realizzazione pratica. Oppure proviamo fare il confronto con quegli altri partiti che pretendono di rappresentare tutti gli egiziani e poi creano programmi confusi soprattutto sul terreno del conflitto sociale.
Come possono cambiare gli sciperi in Egitto?
Dallo scorso Gennaio gli scioperi rappresentano il movimento sociale e l’attivismo politico. E questa è una prova che gli egiziani hanno deciso di condividere sul piano pubblico l’attività politica dopo che è stata loro dimostrata la loro forza in questo tipo di arena in maniera molto netta.
Però il Movimento degli scioperi e delle lotte sindacali (che costringe il governo ad ascoltare istanze su numerose questioni) è prima di tutto la prova rivoluzionaria più importante sul terreno degli equilibri sociali così come li aveva lasciati il regime di Hosni Mubarak. La rivoluzione di Gennaio ha abbattuto la politica che li controllava in precedenza e il grande sciopero di quei giorni si è rivolto a quelli che volevano costruire la struttura alternativa a tale controllo della vita e della politica e che potesse competere con essa. Costoro l’hanno difesa con le penne e i programmi da loro scritti, e continuano a utilizzare le proprie organizzazioni cercando di far riacquistare all’onda di cambiamento degli inizi almeno una parte della sua forza.
Questa volta la posta in gioco è direttamente la realizzazione di ciò che deve essere la Rivoluzione. Il popolo, il quale sgobba ogni giorno e che ha al suo fianco la nazione, vuole abbattere il regime di repressione, sfruttamento, disparità sociale, e desidera giustizia sociale, libertà e il miglioramento delle condizioni di vita. Il popolo vuole liberarsi dalla dominazione dei pochi, e questo è il presupposto perché la Rivoluzione sia completa.
E il popolo non dimentica le proprie rivendicazioni.
(Traduzione dall’arabo a cura di Eugenio Dacrema)
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