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Monday, April 25, 2011

Egitto: I sindacati egiziani tra il Partito Democratico e i Fratelli Musulmani

I report my translation of an article of the arabic magazine al-Jadaliyya that I wrote for Equilibri.net about the Labour Unions in Egypt. I also wrote i brief introduction to make all the article more clear for the Italian public. I'm sorry for the foreign readers for this use of Italian language. But, after all, since this is "the Mediterranean monitor" maybe it makes more sense to publish sometimes stuff translated from a Mediterranean language to another :)

http://equilibri.net/nuovo/articolo/egitto-i-sindacati-tra-il-partito-democratico-e-i-fratelli-musulmani


Premessa alla traduzione dell’articolo***
Il ruolo dei sindacati nel futuro prossimo dell’Egitto è al centro della polemica nell’attuale fase transitoria. Questo tema viene per lo più ignorato dai media occidentali (soprattutto da quelli italiani) che tendono a focalizzare maggiormente l’attenzione su questioni legate principalmente ai Fratelli Musulmani e alla possibile deriva islamica che la rivolta egiziana potrebbe prendere. In realtà, questa questione è piuttosto marginale nell’attuale dibattito interno egiziano. Neanche le forze più laiche, infatti, percepiscono davvero la minaccia di una possibile deriva islamista. Ciò che invece preoccupa davvero molti fautori della rivolta di Piazza Tahrir (tra loro soprattutto i giovani movimenti di attivisti e blogger che hanno dato vita alle prime sollevazioni) è la crescente volontà da parte sia del Partito Democratico Nazionale (l’ex partito dominante di Mubarak, recentemente ufficialmente abrogato, ma ancora piuttosto potente nella società egiziana) sia dei Fratelli Musulmani di coalizzarsi per contenere le aspirazioni sindacali dei lavoratori egiziani.
Nonostante la crescita economica positiva di cui il regime ha orgogliosamente fatto sfoggio negli ultimi anni, i livelli salariali dei lavoratori egiziani sono andati progressivamente peggiorando. Tale situazione si è cronicizzata nel tempo soprattutto a causa dello stato di assoluta subordinazione al regime in cui hanno versato per decenni i sindacati egiziani e che ha impedito alla forza lavoro di avere una vera rappresentanza ufficiale indipendente e di conseguenza un vero potere contrattuale.
Questo tema è assolutamente centrale nella realtà egiziana. Buona parte dei movimenti che hanno dato vita alla rivoluzione hanno le loro origini in proteste sindacali degli anni passati (tra loro il famoso “Movimento 6 Aprile”) e gli scioperi che hanno accompagnato tutta la rivoluzione sono stati certamente determinanti per la sua riuscita.  Molto dello scontento che è sfociato con la rivolta di gennaio  ha infatti origine nel profondo malessere originato dalle enormi differenze sociali che caratterizzano il sistema economico egiziano, la cui crescita è andata quasi solo a beneficio di una ristretta elite di proprietari e imprenditori strettamente legati al regime.
Il tema del futuro del sistema sindacale, quindi, è centrale per la stabilità a lungo termine dell’Egitto. Se questa questione non viene risolta è infatti forte il rischio di ulteriori sollevazioni esacerbate dalla mancata redistribuzione della ricchezza. 
Per approfondire questo tema Equilibri ha tradotto dalla lingua araba un interessante articolo della rivista “el-Jadaliyya” (www.jadaliyya.com) dal titolo “I sindacati in Egitto, tra il Partito Democratico Nazionale e i Fratelli Musulmani”.  Esso è un estratto del dibattito in atto in questi mesi ed è esemplificativo degli argomenti e delle paure che percorrono la società egiziana. Da una breve descrizione della storia dei sindacati di sinistra in Egitto a partire della progressiva militarizzazione e statalizzazione della vita lavorativa, fino ad arrivare alle recenti vittorie nel 2008 con la formazione di alcuni (limitati) sindacati indipendenti. Infine l’articolo fornisce una breve analisi della situazione attuale, elencando le paure e le rivendicazioni dei sindacalisti egiziani. Le opinioni espresse nell’articolo sono da ritenersi del tutto personali. 
Articolo di Elhamy al-Merghany 
Quando i militari arrivarono al potere il 23 Luglio (si riferisce al golpe degli “Ufficiali Liberi” che nel 1952 porterà al potere prima Muhammad Naghib e in seguito Gamal Al-Nasser) , nonostante le loro promesse di instaurare un regime democratico, cominciarono immediatamente a trattare con durezza gli scioperi del lavoratori dopo meno di un mese dalla rivoluzione. Instaurarono un tribunale militare a Kafr al-Duwar (località dove erano avvenuti i maggiori scioperi) guidato da Muqam Abd Al-Manaa Amin, uomo dell’ambasciata americana, il quale emise la sentenza di morte per Mustafa Khamis e Muhammad al-Baqri (i due leader degli scioperi). Il generale Naghib disse che aveva pianto per loro ma che concordava con la decisione dopo che lo avevano convinto del pericolo rappresentato dai lavoratori comunisti e della necessità di trattarli energicamente per evitare la diffusione delle idee comuniste nelle fabbriche. 
Dopo questo episodio incaricò Al-Manaa Amin della questione dei lavoratori. Questi scelse come consigliere sul tema dei lavoro e dei sindacati Said Qatab, membro dei fratelli musulmani. Vi era infatti in quel periodo una alleanza tra i Fratelli Musulmani e i militari appena giunti al potere. Questi avevano anche nominato ministro un altro membro della fratellanza, oltre a Said Qatab consigliere ministeriale. La luna di miele continuò fino al tentato assassinio del presidente Nasser (che nel frattempo aveva sostituito Naghib). Da questo momento in poi la luna di miele tra militari e Fratelli Musulmani poteva considerarsi conclusa.
Ai militari, però, importava dei sindacati e desideravano restituire loro la libertà sindacale, come ricorda il grande vecchio dei sindacalisti egiziani ‘Atiyat al-Sirfii. Essi iniziarono la militarizzazione della vita lavorativa, sindacale e civile. Una militarizzazione morbida, però, diversa da quella grossolana portava avanti da al-Manaa Amin, e con lui da Said Qatab.
Questa militarizzazione morbida cominciò con l’incarico a numerosi ufficiali dell’esercito di lasciare le loro assegnazioni e allentare  il controllo sopra i sindacati operai. Tra questi ufficiali vi erano Ahmed Abdallah Ta’mii,  Wafa’ Hagazii e Wahid Ramadan che erano legati a molte organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori. La storia dimostra così come i soldati poterono convincere i lavoratori a manifestare per il perpetuarsi del regime militare e per l’abolizione della democrazia e dei partiti nel Marzo del 1954.
Fu così portata a termine l’appropriazione del movimento sindacale e operaio da parte delle autorità, o se si preferisce, la sua militarizzazione, come ricorda ‘Atiyat el-Sirfii. Dopo anni dall’imposizione del dominio sopra i sindacati operai e lo svuotamento dello loro garanzie alla lotta sindacale con l’arresto di gran parte della sua leadership, venne fondata nel 1957 “l’Unione dei Lavoratori (Ittihad al-‘Ummal). Essa venne realizzata per racchiudere tutti i lavoratori in una sola organizzazione.
Prima che venisse formata l’Unione dei Lavoratori era diritto degli operai la raccolta delle firme e la formazione dei sindacati, nonché la strutturazione delle loro gerarchie. Assemblee pubbliche eleggevano i rappresentanti annualmente per la direzione sindacale e discutevano i programmi per la lotta e la difesa dei diritti dei lavoratori. Tale mondo sindacale, però, bloccava i tentativi del governo di contenere il movimento sindacale e di controllarlo. Nel 1952 le organizzazioni sindacali egiziane erano 568, e salirono a 947 nel 1956 rappresentando più di 450.000 sindacalisti. Nel 1958 esse arrivarono al loro massimo numero di 1400.
Ogni sindacato aveva una sede propria dove si potevano riunire i suoi membri per discutere i problemi e svolgere diverse attività sociali. Vennero fondati al loro interno consultori speciali per i lavoratori e classi speciali per la loro istruzione. Spesso esistevano anche corsi per l’insegnamento ai figli e alle mogli degli operai e  un avvocato che rappresentava tutto il sindacato nelle questioni contrattuali. Tali sindacati erano inoltre preposti alla ratifica e alla negoziazione dei contratti con le direzioni delle fabbriche.
Il governo, però, avvertiva il pericolo rappresentato da questa importante presenza sindacale la quale era in grado, grazie alla sua frantumazione, di mutare e trasformarsi senza che fosse possibile un reale totale controllo su di essa. E quando numero delle organizzazioni arrivò a 1400, il governo aveva bisogno di almeno altrettanti informatori per controllare ognuna di loro. Impresa ardua, in quanto ognuna di esse possedeva una direzione composta dai 15 ai 21 membri, che andavano a costituire un complesso di più di 21.000 sindacalisti che ogni anno esprimevano autonomamente la propria leadership all’interno di elezioni pubbliche.
I lavoratori avevano il potere di abrogare in qualunque momento la direzione di un sindacato con un voto a maggioranza e di eleggerne una diversa che difendesse meglio i suoi interessi salariali e contrattuali.
Per tutti questi motivi fu necessario ricorrere alla soppressione del movimento sindacale e alla fondazione della “Unione dei Lavoratori”. Dalla sua fondazione essa fissò i limiti delle attività politiche dei sindacati. All’inizio venne lasciato un margine di libertà, fino all’arrivo del Partito Nazionale che completò la addomesticazione del sistema sindacale il quale perse ogni forma di capacità rappresentativa.
Le forze di sicurezza giocarono in questo un ruolo fondamentale nel creare reti che tenessero sotto controllo i sindacati e reprimessero qualunque tentativo di difendere realmente i diritti dei lavoratori. In questo modo il movimento sindacale governativo diventò parte integrante del sistema politico statale e il presidente dell’Unione dei Lavoratori diventò lo stesso ministro della Forza Lavoro.
Ciò riflette ironicamente la nuova struttura dittatoriale che diventò il bersaglio delle manifestazioni operaie, le quali esprimevano la vergogna per il ruolo dei nuovi sindacalisti governativi come agenti delle forze di sicurezza.
Per i sindacalisti di sinistra furono anni di persecuzioni e arresti. Essi venivano allontanati a decine dalle fabbriche durante le elezioni sindacali, le quali diventarono monopolio degli agenti di sicurezza. Tali elezioni esprimevano la commissione sindacale all’interno della fabbrica, ma invece della presenza di migliaia di commissioni sparse, esse vennero concentrate in 23 sindacati pubblici subordinati alla Unione dei Lavoratori che veniva controllata da 25 membri provenienti dalla leadership del partito al potere e dalle forze di sicurezza.
Nelle fasi seguenti la rivolta del Gennaio 1977 al-Sirfii collegò l’importanza della pluralità sindacale con le barriere poste sui sindacati operai e l’applicazione della libertà negoziale che è l’espressione stessa dell’azione sindacale, cosi come è riconosciuta un tutti i documenti nazionali. Al-Sirfii pubblicò il suo importante libro “La militarizzazione della vita lavorativa e sindacale in Egitto”, che fu molto diffuso negli ambienti della sinistra sindacale.
Ma quando al-Sirfii tentò di far passare l’idea della pluralità sindacale come punto importante nell’agenda del partito Al-Tagammu’ (partito della sinistra egiziana), la sua idea venne accolta con sufficienza e solo 3 membri del congresso del partito votarono a favore, tra i quali Sabir Barakat, Kamal Abbas e lo stesso al-Sirfii.
Nonostante il fallimento e la delusione al-Sirfii non si perdette d’animo e negli anni ’80 fondò la rivista “La Voce del Lavoratore” (Saut al-‘Amil) per la diffusione dell’ideale della pluralità sindacale che fu il sogno della sinistra sindacale fino a quando si tradusse in fatti nel 2008.
Quell’anno, infatti, dopo 14 giorni di sciopero che coinvolsero anche gli impiegati addetti alla riscossione delle imposte in tutte le province egiziane e manifestazioni di fronte al ministero delle finanze, e dopo che gli esattori ottennero la parificazione salariale con i normali impiegati pubblici, nacque in Egitto il primo sindacato indipendente, quello degli esattori delle tasse. Subito dopo vennero fondati il sindacato dei pensionati, e quello dei giornalisti. Divenne quindi realtà il sogno di al-sirfii, Sabir Barakat e della redazione de “La voce del Lavoratore”.
Le cooperative legate ai Fratelli Musulmani, però, non hanno mai partecipato nemmeno  alle elezioni sindacali precedenti (quelle dell’Unione dei Lavoratori). Alcune di esse hanno cominciato durante le ultime 2 consultazioni relative ai periodi 2001-2006 e 2006-2011 ma nessuna si è inserita nella fondazione dei nuovi sindacati indipendenti dopo il 2008. Al contrario, si sono osservati alcuni scioperi dei lavoratori di una grossa fabbrica appartenente a uno dei membri della leadership della fratellanza.
Dopo la rivoluzione del 25 Gennaio, invece di sostenere la formazione dei nuovi sindacati indipendenti che si stanno grandemente sviluppando, la Fratellanza sta tentando di subentrare al Partito Democratico Nazionale nel controllo dell’”Unione dei Lavoratori” dicendo che quella è l’istituzione che rappresenta la libertà sindacale.
Ci sono alcune verità che non possono essere omesse. Esse sono:
-    Il corrodersi della partecipazione sindacale degli ultimi anni
-    Il divieto di costituire sindacati per i lavoratori delle nuove aree industriali e delle aree ad alto investimento.
-    L’umiliazione della struttura sindacale attuale grazie alla sua sottomissione al partito dominante e agli apparati di sicurezza.
-    Il furto dei fondi pensione e la loro trasformazione in progetti fallimentari come la Banca dei Lavoratori o in versamenti obbligatori all’Unione.
-    La lunghezza eccessiva di un ciclo di rappresentanza sindacale (5 anni) che porta al rammollimento dell’azione delle commissioni sindacali.
-    Il permesso per i sindacalisti che hanno superato i 65 anni di età di continuare a candidarsi per le commissioni professionali.
-    Il blocco delle riforme e degli aumenti per i lavoratori fino a quando nelle manifestazioni operaie il motto “Abbattiamo il sindacato” è stato condiviso dalla maggioranza dei partecipanti.
Per questo il persistere della legge per i sindacati n. 35 del 1976 (e le sue successive modifiche) è considerata una continua violazione della libertà sindacale. Il ministro della Forza Lavoro ha promesso alla direzione dell’Organizzazione Nazionale del Lavoro di riscrivere una nuova legge che permetta la vera pluralità sindacale. Nonostante questo, però, nulla è avvenuto fin’ora. Il lavoro sta continuando a essere soggetto alla legge dittatoriale ed è stato sparso l’invito per le elezioni sindacali (si riferisce a quelle interne all’Unione dei Lavoratori ) per il prossimo novembre come previsto dalla vecchia legge!
Molti lavoratori hanno presentato il loro ritiro dai sindacati attuali e hanno chiesto l’interruzione del prelievo obbligatorio dai loro stipendi.
E mentre vengono incarcerati i membri delle elite corrotte, i Fratelli Musulmani stanno cercando di mantenere il sistema dell’Unione dei Lavoratori così com’è per tentare di sostituire la propria leadership ugualmente tirannica a quella del partito governativo. Dovrebbero essere questi i risultati della Rivoluzione del 25 Gennaio?
Non si realizzerà la valorizzazione dell’unione dei lavoratori se non attraverso la fondazione di sindacati indipendenti e della pluralità sindacale. Solo la base del lavoratori è in grado di liberare i sindacati e costruire dei sindacati indipendenti in grado di svolgere quelle attività sociali come il servizio ambulatoriale e di trasporti comuni e di tracciare le linee di quello che sarà lo spirito del “dopo 25 Gennaio”.
Resta un punto importante che non bisogna tralasciare: il debole controllo dei sindacati su numero servizi sociali come le società di deposito fondiario nelle quali sono custoditi i risparmi dei lavoratori. Per questo uno dei primi punti sulla strada della libertà sindacale e della formazione di sindacati indipendenti è la liberalizzazione di questi fondi e la loro messa sotto controllo dei sindacalisti attraverso la selezione di una nuova leadership e il loro frazionamento in modo da rendere più facile la sorveglianza e impedire che durante la fase di transizione alcuni elementi corrotti si impadroniscano di tali risparmi.
Se ai Fratelli Musulmani stesse veramente a cuore la preservazione dei valori della Rivoluzione di Gennaio, non si impegnerebbero a impadronirsi dell’Unione dei Ladroni (Unione dei Lavoratori) ma sosterrebbero la costruzione di sindacati indipendenti e della pluralità appoggiando l’abolizione della vecchia legge sui sindacati sottraendoli così al controllo degli apparati di sicurezza.
La storia non perdona, e nemmeno la Rivoluzione. E noi non sostituiremo il controllo del Partito Democratico Nazionale con il controllo dei Fratelli Musulmani. E non permetteremo che vengano formati sindacati su base settaria o partitica. I sindacati devono rimanere sindacati di lavoratori, non religiosi e non partitici, ma indipendenti e democratici. Questa è la nostra via per la liberazione.  (Tariqa al Tahrir: fa riferimento indiretto a piazza Tahrir, dove le principali manifestazioni contro il regime precedente hanno avuto luogo).
*Traduzione dall’arabo di Eugenio Dacrema
**Elhamy el-Merghany è ricercatore di economia e politiche del lavoro. E’ membro della commissione di coordinamento per la difesa dei diritti e delle libertà sindacali e della commissione per la difesa dei sussidi. E’ inoltre un dei membri fondatori del Partito Socialista Egiziano. Ha pubblicato numerosi studi sulla classe lavoratrice egiziana e sul finanziamento dei sussidi sociali.
*** Premessa a cura di Eugenio Dacrema

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